Si doveva andare a mangiare una pizza in un ristorante quella sera, non proprio a due passi dalla cittadina, era una domenica. Lei però, usciti dal supermercato, mi guardo’ e mi chiese con dolcezza se davvero avessimo voglia di fare tutta quella strada per una pizza. Io la incalzai serenamente con un’esclamazione di supporto, come se avesse avuto l’idea più saggia del mondo. Avevamo prenotato il tavolo la settimana precedente, l’unico timore che avevamo era quello di creare disagio al proprietario che invece ci sollevò immediatamente dalle preoccupazioni: nessun problema signori, ci vedremo un’altra volta, buonaserata. La cosa più bella della vita è uscire dai programmi, affidarsi alle sensazioni, chiudere gli occhi e farsi guidare dalle stelle, con curiosità, pensai. Scegliemmo di mangiare una pizza presa in un posto a due passi da noi e di andarla a mangiare all’aperto, in collina, nel silenzio estivo e con il tramonto a farci da cornice. Parlammo molto quella sera, soprattutto della vita, del futuro, parlammo delle paure che fanno parte di un cambiamento, parlammo di quegli errori che inevitabilmente ci insegnano a migliorare, parlammo dell’amore e delle responsabilità. Le pizze che avevamo ordinato per telefono e che eravamo andati a prendere poco dopo il cambio di programma non erano le nostre, o meglio erano state fatte con distrazione, sbagliando qua e là le nostre richieste, ci ridemmo su dopo un principio di delusione, chissenefrega, guarda dove siamo, è meraviglioso ci dicemmo con gli occhi. In effetti il posto che avevamo scelto è uno dei luoghi più suggestivi della nostra piccola cittadina, un mausoleo degli anni ’30, adagiato su una piana circondata da vigneti e un bosco.
Avevamo anche una cassa audio a batteria che ci permise di perfezionare quel momento, scegliemmo delle musiche che in passato erano state le colonne sonore di alcuni film italiani degli anni ’50. La mia pizza era salata e la sua un pasticcio di gusti confusi. Ma tutto il resto era così puntuale che davvero diventò un simpatico gioco notare quegli errori. Tornando parlammo dei gusti del gelato e delle nostre famiglie, e lei scesa dalla macchina mi chiese una cosa che mi ero scordato averle già promesso qualche settimana prima. Le sarebbe piaciuto vedere qualche foto della mia vita, di me da bambino, dei miei genitori e siccome non abitavamo ancora nella stessa casa ci fermammo da me. Inizialmente mi sembro’ una cosa ancora più fuori programma di tutto il resto, più che disdire un tavolo al ristorante, più che mangiare pizze sbagliate ma quella sera mi accorsi che ci sono cose più importanti che sfuggono al nostro controllo e che ci accompagnano invece nel posto giusto, con una puntualità spiazzante.
Così tirai fuori due scatoloni che avevo messo via quando morirono i miei genitori, mio fratello aveva fatto su tutte le foto dividendole per misura, un tempo certe fotografie avevano formati di stampa molto più piccoli di quelli che siamo abituati a vedere oggi. In ogni caso dopo dieci minuti venni travolto da una sensazione così forte che non riuscì a trattenere le lacrime, dovetti chiederle di sfogliarle lei quelle foto, perché io le avrei rovinate con le lacrime che mi scendevano pesanti senza possibilità di fermarle. Le avevo già viste tutte quelle immagini, ci avevo già fatto anche dei video e qualche ingrandimento, ma in quel momento mi sembrò di vivere una malinconia nuova, come quando si vede il mare, da bambini, per la prima volta. Erano ragionamenti che avevo già fatto, erano pensieri già archiviati molte volte ma quella sera c’era qualcosa di un po’ più profondo.
Trovai anche una lettera che scrisse mio Nonno, il padre di mia mamma, una lettera scritta a macchina, nel 1930, da Torino, dal collegio degli orfanelli. Me la lesse lei, quelle parole invece erano nuove per me, erano scritte in un italiano pulitissimo e commovente, qualcosa che mi porto’ a pensare alle mie origini, al dolore della vita delle persone che mi hanno preceduto, e mi ripromisi, tra le tante altre cose, che avrei sacralizzato quelle parole, che sarebbero state la scintilla definitiva per una nuova storia da raccontare. Quando la lettera fini’, guardai negli occhi quella donna, e la ringraziai per avermi chiesto di tornare indietro nel tempo. Molto probabilmente era la cosa che mi mancava per definire certe decisioni, per comprendere che nella vita si fa quel che si può, nient’altro.
E in tutto questo, l’amore, che cambia di senso man mano che lo si vive, complice della malinconia ma riconoscibile ogni giorno di più, quando si cammina fianco a fianco, consapevoli che, prima di noi, qualcuno ci ha provato con la stessa intensità di quando si sceglie all’improvviso di cambiare strada. Cambiare idea, cambiare tutto, semplicemente.